Sant'Antonio Abate - Linarolo

Sito della parrocchia di Sant'Antonio Abate in Linarolo, Pavia

28 settembre 2013

Il Sant'Antonio - numero XXVIII





pubblicato da Unknown alle 12:18
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Tags: Feste e solennità, Vita parrocchiale
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Il nostro Patrono

Il nostro Patrono
Sant' Antonio abate, detto anche sant'Antonio del Fuoco o sant'Antonio del Deserto (+ 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.

Il Sodalizio

Il Sodalizio
Il Sodalizio



Orari



SS. Messe: ogni giorno, ore 17.00


Giovedì, ore 20.45

S. Messa tradizionale e catechesi


Sabato: Prefestiva ore 17.00

Festiva Tradizionale ore 18.30


Domenica: ore 8.30 e 11.00



Confessioni: da mezz'ora prima delle S. Celebrazioni.

Pregare con la Chiesa, conoscere la Fede

  • Te Deum
  • Veni, Sancte Spiritus
  • Preghiere del cristiano
  • Santo Rosario
  • Messale Romano 1962
  • Catechismo della Chiesa Cattolica
  • Sacrosanctum Concilium
  • Compendio Dottrina Sociale della Chiesa
  • Porta Fidei
  • Latina Lingua

Nel web con la Chiesa

  • Sancta Apostolica Sedes
  • Diocesi di Pavia
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  • Pontificia Commissione Ecclesia Dei
  • Messainlatino.it

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Chi è il prete?






I sette Sacramenti



Il canto grave e triste dell’Introito apre la cerimonia; esso esprime l’aspettazione dei patriarchi e dei profeti. Il coro dei chierici è il coro stesso dei santi dell’Antica Legge che sospirano la venuta del Messia, che non sono destinati a vedere. Il vescovo entra allora, ed appare come la vivente immagine del Salvatore, atteso dalle Nazioni. Nelle grandi festività, si recano innanzi a lui sette ceri, a ricordare che, secondo la parola del profeta, i sette doni dello Spirito Santo riposano sul capo del Figlio di Dio. Egli avanza sotto un baldacchino trionfale di cui i quattro portatori possono compararsi ai quattro Evangelisti. Due accoliti procedono alla sua destra e alla sua sinistra e figurano Mosé ed Elia, che si mostrarono sul Tabor ai lati del Signore. Essi ci insegnano che Gesù aveva in sé l’autorità delle Tavole e quella della Profezia.

Il vescovo siede sul suo trono e resta silenzioso. Sembra non partecipare in alcun modo alla prima parte della cerimonia. La sua attitudine contiene un insegnamento: egli ci ricorda con il suo silenzio che i primi anni della vita di Gesù Cristo trascorsero nell’oscurità e la meditazione. Il suddiacono, frattanto, s’è diretto al pulpito e, volto verso la destra, legge ad alta voce l’Epistola. Intravediamo qui il primo atto del dramma della Redenzione. Poiché la lettura dell’Epistola figura la predicazione di San Giovanni Battista nel deserto. Egli parla prima che il Salvatore abbia cominciato a far udire la sua voce, ma non parla che agli ebrei. Sicché il suddiacono, immagine del Precursore, si volge verso il nord, che è il lato dell’Antica Legge. Terminata la lettura, egli si inchina dinanzi al vescovo come il Precursore si umiliò dinanzi a Gesù Cristo.

Il canto del Graduale, che segue la lettura dell’Epistola, si riporta ancora alla missione di San Giovanni Battista e simboleggia le esortazioni alla penitenza che egli dirige agli ebrei alla vigilia dei tempi nuovi.

A questo punto, il celebrante o il diacono, legge il Vangelo. Momento solenne, poiché qui comincia la vita attiva del Messia; la sua parola si fa udire per la prima volta nel mondo. La lettura del Vangelo è la figura stessa della sua predicazione.

Il Credo segue al Vangelo come la fede segue all’annuncio della verità. I dodici articoli del Credo si riferiscono alla vocazione dei dodici Apostoli.

I paramenti stessi che il sacerdote indossa all’altare,gli oggetti che servono al rituale sono altrettanti simboli. La pianeta, che s’indossa al di sopra delle altre vesti, è la carità che è superiore a tutti i precetti della legge e che è legge suprema essa stessa. La stola, che il sacerdote si passa al collo, è il giogo leggero del Maestro; e poiché sta scritto che ogni cristiano deve prediligere quel giogo, il prete bacia la stola mettendola e togliendola. La mitra a due punte del vescovo significa la scienza che egli deve avere dell’uno e dell’altro Testamento; due nastri ne pendono a ricordare che la Scrittura ha da essere interpretata secondo la lettera e secondo lo spirito. La campana del Sanctus è la voce dei predicatori. L’impalcatura alla quale è sospesa è figura della croce. La corda, fatta di tre canapi attorti, significa la triplice intelligenza della Scrittura, che deve essere interpretata nel triplice senso storico, allegorico e morale. Quando si prende in mano la corda per scuotere la campana, si esprime simbolicamente la verità fondamentale che la conoscenza delle Scritture deve esprimersi nell’azione.

Emile Male

La Tradizione apostolica... non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità.

Il Concilio Vaticano II ha rilevato, al riguardo, che la Tradizione è apostolica anzitutto nelle sue origini: “Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli di predicare a tutti, comunicando loro i doni divini, il Vangelo come fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale” [Dei Verbum].

La Chiesa trasmette tutto ciò che è e che crede, lo trasmette nel culto, nella vita, nella dottrina. La Tradizione è dunque il Vangelo vivo, annunciato dagli Apostoli nella sua integrità, in base alla pienezza della loro esperienza unica e irripetibile: per opera loro la fede viene comunicata agli altri, fino a noi, fino alla fine del mondo. La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l’esperienza delle origini. E’ quanto precisa Papa san Clemente Romano verso la fine del I secolo: “Gli Apostoli - egli scrive - ci annunziarono il Vangelo inviati dal Signore Gesù Cristo, Gesù Cristo fu mandato da Dio. Cristo viene dunque da Dio, gli Apostoli da Cristo: entrambi procedono ordinatamente dalla volontà di Dio… I nostri Apostoli vennero a conoscenza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che sarebbero sorte contese intorno alla funzione episcopale. Perciò, prevedendo perfettamente l'avvenire, stabilirono gli eletti e diedero quindi loro l'ordine, affinché alla loro morte altri uomini provati assumessero il loro servizio”.

Questa catena del servizio continua fino ad oggi, continuerà fino alla fine del mondo. Infatti il mandato conferito da Gesù agli Apostoli è stato da essi trasmesso ai loro successori. L’invio apostolico implica un servizio pastorale (“fate discepole tutte le nazioni...”), liturgico (“battezzandole...”) e profetico (“insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”), garantito dalla vicinanza del Signore fino alla consumazione del tempo (“ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”). Così, in un modo diverso dagli Apostoli, abbiamo anche noi una vera e personale esperienza della presenza del Signore risorto. Attraverso il ministero apostolico è così Cristo stesso a raggiungere chi è chiamato alla fede. La distanza dei secoli è superata e il Risorto si offre vivo e operante per noi, nell’oggi della Chiesa e del mondo. Questa è la nostra grande gioia. Nel fiume vivo della Tradizione Cristo non è distante duemila anni, ma è realmente presente tra noi e ci dona la Verità, ci dona la luce che ci fa vivere e trovare la strada verso il futuro.

Papa Benedetto XVI, Udienza generale 3 maggio 2006

Quanto a voi, fratelli e figli dilettissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della Sacra Dottrina sarete partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. Dispensate a tutti quella Parola di Dio, che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Ricordate anche che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio.

Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa. Voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo. Mediante il vostro ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare nella celebrazione dei Santi Misteri.

Riconoscete dunque ciò che fate, imitate ciò che celebrate, perché partecipando al ministero della morte e resurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita.

Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani. Celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera.

Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio, esercitate in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari.

Infine, partecipando alla missione di Cristo, Capo e Pastore, in comunione filiale con il vostro Vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia, per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto.

Papa Francesco, Omelia 21 aprile 2013

Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

Calendario liturgico romano

  • Novus Ordo
  • Vetus Ordo
  • V.O. 2013 completo (download pdf)

dal Motu Proprio "Summorum Pontificum"

Aliquibus autem in regionibus haud pauci fideles antecedentibus formis liturgicis, quae eorum culturam et spiritum tam profunde imbuerant, tanto amore et affectu adhaeserunt et adhaerere pergunt, ut Summus Pontifex Ioannes Paulus II, horum fidelium pastorali cura motus, anno 1984 speciali Indulto “Quattuor abhinc annos”, a Congregatione pro Cultu Divino exarato, facultatem concessit utendi Missali Romano a Ioanne XXIII anno 1962 edito; anno autem 1988 Ioannes Paulus II iterum, litteris Apostolicis “Ecclesia Dei” Motu proprio datis, Episcopos exhortatus est ut talem facultatem late et generose in favorem omnium fidelium id petentium adhiberent.

Instantibus precibus horum fidelium iam a Praedecessore Nostro Ioanne Paulo II diu perpensis, auditis etiam a Nobis Patribus Cardinalibus in Concistorio die XXIII mensis martii anni 2006 habito, omnibus mature perpensis, invocato Spiritu Sancto et Dei freti auxilio, praesentibus Litteris Apostolicis DECERNIMUS quae sequuntur:

Art. 1. Missale Romanum a Paulo VI promulgatum ordinaria expressio “Legis orandi” Ecclesiae catholicae ritus latini est. Missale autem Romanum a S. Pio V promulgatum et a B. Ioanne XXIII denuo editum habeatur uti extraordinaria expressio eiusdem “Legis orandi” Ecclesiae et ob venerabilem et antiquum eius usum debito gaudeat honore. Hae duae expressiones “legis orandi” Ecclesiae, minime vero inducent in divisionem “legis credendi” Ecclesiae; sunt enim duo usus unici ritus romani.

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Panem caelestem accipiam et nomen Domini invocabo

Panem caelestem accipiam et nomen Domini invocabo

...Bisogna dunque rievocare con una certa solennità come l'insieme di questi testi [della liturgia antica] abbia rappresentato l'ultimo capolavoro delle lettere latine.
Quale stupefacente padronanza delle risorse linguistiche e delle tecniche più sperimentate della retorica classica! E quale varietà di toni, dal lirismo dei prefazi alle antitesi delle orazioni così sapientemente equilibrate! Una sorprendente densità dottrinale vi si esprimeva con discrezione e con sobrietà: si pensi al prefazio della Trinità, utilizzato per tutte le domeniche durante l'anno («cosicché nella professione della vera e sempiterna divinità, sia adorata ad un tempo la proprietà delle Persone e l'unità dell'essenza e l'uguaglianza della maestà»). Un senso poetico sempre all'erta si alimenta alle fonti bibliche, da esse traendo vocabolario, immagini, citazioni più o meno esplicite, rendendole adeguate con una sconcertante ingegnosità: applicando, ad esempio, alla Vergine Maria o alle semplici vergini oggetto di venerazione, i termini di cui la Scrittura si serve per evocare la Sapienza increata... Abbiamo finora parlato solo del testo in sé e per sé: ma alla completezza dell'elogio è necessario parlare anche del ruolo svolto dalla musica (la cronologia del repertorio del cosiddetto canto «gregoriano» è però difficile da stabilire), dell'organizzazione del cerimoniale, processioni, movimenti di folle ecc. Si trattò certo di una grande creazione, anche se la si giudicasse in base a canoni puramente estetici, senza dare alcun giudizio di valore sulla sua portata spirituale. A stento le storie della letteratura più complete e più onnicomprensive menzionano questo fatto fondamentale; generalmente lo ignorano nel modo più assoluto.

Henri-Irénée Marrou, 1997

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